Giovanni Brusca, lo “scannacristiani”, è libero
E’ tornato in libertà in anticipo rispetto alla data prevista Giovanni Brusca, l’autore di feroci reati di mafia, tra cui quelli di aver premuto il tasto del telecomando che provocò la strage di Capaci e fatto sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo. Adesso Brusca è un uomo libero, il che, considerati i suoi efferati e molteplici reati con oltre un centinaio di persone uccise, lascia inquieti i familiari delle vittime.
Sarebbe dovuto uscire nel 2022, ma per buona condotta e i giorni accumulati si è resa possibile la fine della detenzione in anticipo di Giovanni Brusca che all’età di 64 anni è tornato in libertà. L’arresto del boss mafioso risale al 1996, scovato a San Giuseppe Jato, in provincia di Agrigento. Dopo 25 anni di carcere, iniziato nel 1999, nel suo caso sono stati applicati i benefici previsti per i collaboratori affidabili. Ma in molti, per la ferocia dei suoi delitti gli hanno affibbiato l’appellativo di “scannacristiani”.
Già l’anno scorso i familiari delle vittime avevano espresso molte perplessità sulla scarcerazione di un personaggio così violento. Tra i reati da lui confessati ci sono quello di avere coordinato i preparativi della strage in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta, fatto sciogliere nell’acido il piccolo Giuseppe Di Matteo, il cui padre, Santino Di Matteo era, tra tutti, il depositario dei segreti scottanti della cosca e aveva cominciato a svelarli al procuratore Giancarlo Caselli e ai magistrati della Dda di Palermo.
Fu proprio la prospettiva di trascorrere in carcere il resto della vita che lo spinse, alcuni mesi dopo l’arresto, a rivelare i retroscena di tanti delitti e degli attentati a Roma e Firenze del 1993. Agendo così si è garantito l’uscita di cui oggi gode.
Corale è stato lo sgomento di molti uomini politici, da Matteo Salvini, leader della Lega, a segretario del Pd, Enrico Letta, da Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia a Mara Carfagna, ministro per il Sud e la Coesione territoriale, la vice presidente del Senato Paola Taverna, il deputato M5S Stefano Buffagni e Virginia Raggi, sindaca di Roma, che hanno espresso pieno dissenso e preoccupazione per la scarcerazione del ex boss.
Parole di grande saggezza, invece, da Maria Falcone che ha detto: “Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge. Una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata”. Ma anche e soprattutto da Pietro Grasso, ex Procuratore Nazionale Antimafia ed ex Presidente del Senato: “Non c’è nessuna forma di buonismo o perdono da parte mia nei confronti di Giovanni Brusca: oltre a tutto ciò che sapete, agli omicidi e alle stragi in cui ho perso colleghi e amici, avrei anche motivi strettamente personali per serbare rancore. Lui e altri collaboratori hanno raccontato, tra gli altri, due episodi che mi riguardarono direttamente: l’organizzazione di un attentato nell’autunno del 1993 che doveva farmi saltare in aria mentre andavo a trovare mia suocera a Monreale e la pianificazione del rapimento di mio figlio. Il dolore e la rabbia delle vittime e dei loro familiari lo comprendo e lo rispetto nel profondo. Eppure non vedo scandalo nella notizia di ieri, peraltro nota e attesa da molti anni. Con Brusca, infatti, lo Stato ha vinto non una ma tre volte. La prima quando lo ha arrestato, perchè era e resta uno dei peggiori criminali della nostra storia per numero di reati e ferocia. La seconda quando lo ha convinto a collaborare: le sue dichiarazioni hanno reso possibili processi e condanne e hanno fatto emergere pezzi di verità fondamentali sugli anni in cui Cosa nostra ha attaccato frontalmente lo Stato. La terza ieri, quando ne ha disposto la liberazione dopo 25 anni di carcere, rispettando l’impegno preso con lui e mandando un segnale potentissimo a tutti i mafiosi che sono rinchiusi in cella e la libertà, se non collaborano, non la vedranno mai. Ora lo Stato dovrà proteggere Brusca: è un dovere perché è importante che Brusca resti vivo e possa andare a testimoniare nei processi. Oltre al punto morale c’è un interesse specifico, quasi egoistico, affinché le sue parole possano essere ripetute nelle aule di giustizia dove servono per condannare mandanti ed esecutori di omicidi e stragi. L’indignazione di molti politici che di codice penale e di lotta alla mafia capiscono ben poco mi spaventa. Se davvero facessero quello che dicono, ovvero ridurre gli sconti per chi collabora con la giustizia, diminuirebbe l’incentivo a pentirsi. Se a questo aggiungiamo che si sta cercando di limitare l’ergastolo ostativo, e lavorerò affinché questo non avvenga, potremo anche dichiarare chiuso il capitolo del contrasto a Cosa nostra. Al contrario, servono sconti di pena forti per chi aiuta lo Stato e prospettiva di ergastolo senza sconti per chi non collabora”.