Riflessioni nazionali sul “politicamente corretto”

Sempre più spesso oggi parlare del cosiddetto “politicamente corretto” palesa una sommessa, ma onnipresente e verde, voglia di “democrazia cristiana” nel dibattito politico nazionale ed europeo. Si era immaginata una nuova Unione Europea post pandemica più solidale e meno volta alla austerity, dotata di politiche pubbliche volte a sostenere la crescita economica senza tralasciare un sistema welfare a tutela dei cittadini dell’Unione. Ci troviamo, invece, di fronte ad una Europa disunita, di fronte al tema della gestione dei grandi flussi migratori, e con un gap istituzionale enorme inerente il difetto di legittimazione del primato della legge europea su quella nazionale. È vero che il principio del “primato” del diritto comunitario su quello nazionale non è espressamente sancito dai trattati, essendo frutto dell’elaborazione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, tuttavia il principio di attribuzione indubbiamente regola i rapporti tra ordinamento statale ed ordinamento europeo. Non sarebbe, quindi, politicamente corretto, ma sarebbe doveroso giuridicamente, affermare che forse sia ora che i 27 paesi europei si riuniscano statuendo in via definitiva i rapporti tra ordinamenti comunitari e nazionali, superando la divisione tra sovranisti ed europeisti. Intanto le ultime amministrative hanno visto diminuire nei consensi proprio i partiti sovranisti in un paese come il nostro all’avanguardia proprio nel “politicamente corretto”. Nel paese della borghesia riflessiva in un quadro di crescita dell’astensionismo stenta ad affermarsi la moderazione tipica delle socialdemocrazie moderne. Nel quadro, infatti, del fattore tipico del bipolarismo imperfetto oggi l’alternativa riguarda il rilancio della politica democratica o la sua involuzione. La richiesta democratica percorre nuove strade ma tutte indirizzate alla richiesta di una politica economica che rilanci la produttività e l’occupazione sotto le leggi di uno stato che rappresenti l’interesse generale. Da più lati si richiede una nuova forza centrata di tipo moderato e interclassista con l’appoggio di attori vaticani e del mondo finanziario-industriale ma senza un ruolo di “primato” da darsi ai sindacati, sempre più in cerca di una dimensione che li riporti in mezzo alla gente. L’assenza della sinistra su questioni fondamentali, che implicano il rapporto con la sua base tradizionale di tipo popolare, vive una stagione di ricordo del “pan-sindacalismo” degli anni ‘70 con il suo modello sindacale che in autonomia dai partiti era direttamente impegnato, anche attraverso il conflitto, a correggere le asimmetrie provocate dal mercato proprio con un modello di sindacato “soggetto politico” che si confrontava direttamente con le istituzioni ed i partiti sull’assetto della società. Una società, la nostra, sempre più piena di rabbia sociale contro gli effetti perduranti delle distorsioni sociali provocate dalla globalizzazione e con un nuovo sub-proletariato urbano segnato da povertà e secessione globale. In poche parole di fronte alla crisi dell’Unione Europea il “politicamente corretto” riporta in auge un’antica e mai sopita voglia di Democrazia Cristiana. Anche se, ormai, è chiaro che in Italia non moriremo più democristiani…