Riflessioni sul rapporto tra povertà educativa sociale e maggiore interventismo preventivo dello Stato
Il massiccio ricorso alla tecnologia ha portato, nella società contemporanea, a nuove forme di disagio da “eccesso di opportunità”, gettando in un delirio tecnologico gruppi sempre crescenti di minori, incapaci di saper reggere l’impatto con un mondo tecnologico pieno di insidie e di punti ciechi. Oggi i sistemi educativi e formativi sono in fibrillazione soprattutto dopo che la società è stata rovesciata nelle sue fondamenta. Il “digital divide” è uno degli elementi che sono alla base della nuova “povertà educativa” ed occorre rendersi pronti a contrastare le sue nuove e più complesse forme che nascono assieme alle comunità virtuali. In base alle nuove statistiche scolastiche sono sempre più in aumento i casi di malessere psicologico dovuti all’adozione di abitudini di vita quotidiane sempre più digitalizzate. Questo malessere ha riguardato quella casistica di soggetti che non viene considerata come esposta alla povertà educativa. Urge, quindi, una collaborazione tra tutte le istituzioni coinvolte nell’educazione dei minori con scuola, famiglia e terzo settore che dovrebbero dialogare in maniera più efficace tra loro. L’azione di contrasto, infatti, deve essere un’azione sinergica che vede coinvolte proprio istituzioni, scuola e terzo settore. Oggi, purtroppo, i vari conflitti sociali presenti nella società non potranno mai risolversi attraverso l’applicazione di norme dettate da esigenze morali. Lo stato dovrebbe maggiormente occuparsi di ricercare, salvaguardare e promuovere la “pace sociale” sempre nel rispetto delle aspettative degli uomini. In tal senso l’offerta formativa scolastica deve consistere in una proposta in linea con il piano nazionale per la formazione ma che risponda efficacemente ai bisogni formativi dei docenti impegnati ogni giorno per innovare la scuola. Certo numerose sono state le metodologie attive che, nel corso del periodo pandemico, hanno tentato di valorizzare le competenze professionali sia del corpo docenti che degli studenti di ogni ordine e grado. Tuttavia la garanzia di qualità di una proposta formativa dovrebbe passare, primariamente, da una fusione armonica delle competenze per sviluppare, poi, una proposta formativa innovativa ed in linea con i fabbisogni reali della scuola. D’altronde l’arte di insegnare consiste tutta e soltanto nel risvegliare la naturale curiosità delle menti giovani, accendendo una scintilla, anche di fronte ad ostacoli che sembrano insuperabili, e dando voce alle inclinazioni personali al fine di fare intravedere il “regno del possibile”. Ciò deve avvenire solo uscendo dalla “zona d’ombra” sollecitando tutte le sfumature dell’intelligenza, che è fatta di sapere, di informazione e di ricerca. Le politiche sociali, quindi, che concernono i bisogni di chi subisce, spesso involontariamente, una situazione di povertà educativa sul territorio devono necessariamente partire dalla raccolta di dati utili alla valutazione della congruenza tra domanda espressa dagli utenti e risposte messe in campo dai servizi assistenziali esistenti. La domanda proveniente da un soggetto che vive una situazione di povertà educativa è una domanda a committenza mista per la particolarità della coppia di attori interessati, quali famiglia e studente, la cui domanda espressa è quella che in modi diversi rende visibile l’utente alla rete dei servizi. La condizione di un soggetto che “subisce” una situazione di povertà educativa genera, spesso, una crisi non solo personale, ma anche familiare, in quanto con l’avanzare degli anni il soggetto vede accentuarsi il divario fra se e la società che lo circonda con un consapevole aumento della sua solitudine ed un aumento delle tensioni, apparentemente sopite, anche tra se ed i membri della sua famiglia. Si ha, quindi, un disadattamento che sempre più spesso diventa un valido motivo per mettere in atto un ulteriore potente fattore di alienazione perché si accentua la preoccupazione per il proprio futuro, soprattutto dal punto di vista dello spauracchio di non poter vivere in modo economicamente autonomo e dignitoso. Il disadattamento, infatti, è spesso collegato ad un sentimento di inutilità che porta la vittima alla introversione ed alla depressione. Andrebbero, quindi, potenziate le forme assistenziali su un ventaglio di prestazioni integrative, anche dal punto di vista economico, per avere un effetto “preventivo” piuttosto che “successivo tamponante”. Solo così si potrà vivere il privilegio di sentirsi crescere culturalmente rispecchiando la triade insegnare, imparare, crescere e solo così si potrà avere una politica statale in tal senso realmente efficace.