Intervista al pittore Enzo Migneco, in arte Togo
In una calda notte di fine estate, seduti ai tavolini del bar De Luca di Messina, nella piazza che porta il nome del suo omonimo avo, tra un favoloso gelato ed un caffè, ho avuto il piacere di passare una bella serata con un gruppo di amici, tra cui anche il famoso pittore Togo (Enzo Migneco).
Inevitabile, a quel punto, che la mia innata curiosità prendesse il sopravvento, e cosi tra storielle e aneddoti ne è venuta fuori una bellissima intervista, il ritratto di un uomo e di un artista mai banale, dalla complessa struttura ma dai modi semplici e gentili.
A: “Mi ha colpito, leggendo la sua biografia, la sua ricerca dell’arte, il suo insediarsi negli anni ’60 a Milano, com’è arrivato a Brera in quel particolare momento storico?
T: “Io ho iniziato a dipingere qui a Messina nel ’56 con gli amici del bar Nettuno, che era il luogo in cui ci si incontrava e c’era una necessità di dialogo fitto, di far chiarezza circa i propri intendimenti, la propria cultura specifica nel settore, aprirsi al mondo della pittura. Nel ’62 ho capito che Messina mi stava stretta, che se volevo fare delle esperienze di più ampio respiro avrei dovuto spostarmi, Londra, Parigi; ma poiché con le lingue, nonostante le abbia studiate entrambe per 5 anni, mi resi conto che non mi appartenevano. Già Milano! L’autostrada era nella mente di Dio ancora in quegli anni, quindi diciamo che l’Italia era ancora molto provinciale, Milano era una città più europea. Lì ho fatto esperienze straordinarie Fontana, Manzoni, ma pittori anche pittori del gruppo di Corrente, Guttuso, Migneco, Morlotti e via discorrendo. Quindi Milano era una città propositiva, nella quale c’era la possibilità, soprattutto a Brera in quella zona, al Giamaica, bar frequentato da Castellani, Bonalumi, questi pittori dell’estroflessione frequentavano il bar e ci si ritrovava a bere la grappa Nardini a contatto di gomito. Ho conosciuto Manzoni che è morto nel ’63, io nel ’62 ero lì, quindi per un anno l’ho incrociato circa una decina di volte.. ”
A: ”Quanto l’ha influenzato questo scambio culturale nella sua carriera?”
T: ” Questo scambio culturale; diciamo che inizialmente quando si sbarca in una città nuova si è un po’ fuori dal contesto, ho avuto anche la fortuna di conoscere pittori della mia generazione, qualcuno più anziano, che però erano cresciuti a Milano per cui avevano buone frequentazioni e che mi hanno messo nelle condizioni di aprirmi a conoscenze che non avrei mai raggiunto da solo”.
A: ” Si è trovato al posto giusto nel momento giusto…”
T: ” Sicuramente, perché quella è stata una stagione straordinaria a Milano, una città molto viva, sbarcavano da tutto il mondo. Leo Castelli, uno dei più grandi galleristi del mondo, colui che ha portato Robert Rauschenberg al primo premio nella Biennale di Venezia nel ’62; Leo Castelli frequentava Milano e il Giamaica, il posto che frequentavo anch’io, quindi c’erano queste grandi occasioni che o volere o volare, ti facevano crescere. Se si aveva curiosità e un minimo di qualità…”.
A: ” La mia domanda era un po’ più intima, la sua arte è stata influenzata, anche a livello figurato e concettuale, nella sperimentazione di nuove tecniche?”
T: ” Diciamo di sì, lì per esempio io ho conosciuto, attraverso la pittura di un amico, Lino Marzulli che aveva 7 anni più di me, ho conosciuto attraverso la sua pittura, la pittura dei Cobra. I Cobra sono pittori come Appel, Corneille; l’acronimo nasce da Copenaghen(Co), Bruxelles(Br), Amsterdam(A). Pittori del nord Europa, sbarcati anche a Milano e che avevano in qualche modo segnato un periodo, una pittura di spessore un paio di centimetri fuori, appesi, sembrava un mosaico quasi, tutti dipinti ad olio e questa cosa mi aveva molto coinvolto, in modo particolare quella di Corneille, un visionario, però legato molto ad una sua immagine reale. Io non sapevo chi fossero i Cobra, quindi questo grande ausilio mi è servito molto, perché mi ha fatto entrare a pieno diritto in un ambiente colto a livello europeo, poi chiaramente ognuno prende la sua strada. Io sono rimasto in un’immagine figurativa, nel senso ampio del termine, la mia è una pittura che spazia.. ”
A: ” Ora che è giunto all’acme della sua carriera e può guardare ..”
T: ” All’acme non si arriva mai, è un andare, il percorso è quello che conta, non ci sono arrivi.. Le voglio raccontare un aneddoto su Hokusai. Hokusai aveva 95 anni quando è morto, aveva attorno al letto i suoi allievi che ne avevano 75-80 minimo e disse: “ Ragazzi, sto incominciando adesso a capire qualcosa, forse se avessi ancora 5 anni davanti, riuscirei a sintetizzare il mio lavoro .” Quindi non c’è un termine, non si può dire di essere arrivati, no no… Ho chiarezza, anche nel parlare con lei, sono cose che ormai ho digerito bene e le tiro fuori avendole vissute momento per momento, tutte sulla mia pelle, nel bene o nel male”.
A: ” Il suo è un percorso circolare, non una linea retta…”.
T: ” Circolare, ha ragione, questa è una cosa molto bella che sta dicendo. Circolare, perché in realtà io dico sempre, si zappetta nel proprio orticello, perché alla fine io mi sto accorgendo per esempio, che sto rivisitando quadri degli anni ’60, ma con 50 anni di esperienza in più ho una visione diversa, anche se il soggetto può richiamare cose già percorse, però in maniera diversa…bella questa sua domanda.”
A: ” Io le rivolgerei tantissime domande.. ”
T: ” Possiamo coinvolgere il qui presente dottore Zuccaro, grandissimo collezionista anche del mio lavoro. In queste serate stiamo facendo delle discussioni aperte, franche.. ”
Enzo Zuccaro:” Che cos’è il colore per Togo?”
A: ”Io non sono un grande esperto di arte, nel mio piccolo, mi ricordano molto i colori di Gauguin..”
T: ”Gauguin, Van Gogh, Matisse soprattutto.. sì, sono i fauves, le bestie, gli animali, una pittura animalesca dicevano i critici dell’epoca…”
A: ” Fortuna dei collezionisti che l’hanno capita…”
T: ” In realtà i Fauves che mi hanno colpito, incuriosito ed interessato, li ho studiati molto bene, in particolare Matisse, pittore straordinario, libero. Perché fare pittura, non è difficile, chiunque può dipingere, però alle volte si scavalcano le immagini senza accorgersi di avere raggiunto alcuni elementi di grande qualità. L’esperienza e la cultura, ti fanno soffermare su alcuni elementi che diventano determinanti per la tua cultura pittorica. Per cui osservare con curiosità e dal di dentro alcune opere di Matisse, sicuramente fa crescere. Un altro pittore che mi piace per esempio è Osvaldo Licini, l’errante eretico erotico, devo prima citare il suo libro, lo dimentico sempre. Questo pittore che è di una umiltà incredibile, ha avuto il grande premio a Venezia ed è morto 6 mesi dopo, una cosa tragica. Pittore di una bellezza straordinaria, i suoi angeli ribelli e le sue Amalassunte sono figure stranissime, che non si possono legare al naturalismo. La figura umana, su cieli azzurri o bianchi o gialli o rosa, di una bellezza sovrumana; cioè quella è la pittura vera, la pittura non deve essere illustrazione di una cosa che c’è, dev’essere un’interiorità cioè la capacità di esprimere un proprio sentimento anche partendo da cose reali. Quando mi parlano di Gauguin, che ha fatto delle scelte straordinarie, ma era l’ottocento, è andato a Tahiti a dipingere, aveva questa necessità, però basta avere la capacità di guardarsi attorno; io guardo quella sedia ed accenno una voluta, disegno, poi la cambio e diventa un’altra cosa. Sono partito da lì ed è diventato poi un paesaggio di mare, dalla sedia passo alla barca, alla fine lei non riesce a leggere né l’uno né l’altra, però diventa una composizione.
A.: ” Basta lo stimolo.. ”
T: ” Esatto, basta lo stimolo iniziale, ci vuole qualcosa che mi induca a fare il segno, poi lo rileggo alla mia maniera e diventa un’altra cosa, si trasforma in qualcosa che io ho dentro e che io ho necessità di esprimere. Questo è quello, in sintesi, che io ritengo sia la grande pittura, che spero nei prossimi 200 anni mi appartenga, farò una mostra a New York al Moma per il mio 185 esimo compleanno.. ”
A.: “L’ottimismo è il profumo della vita.. ”
T.: ” Dicevo a questo signore con cui chiacchieravo, che ho invitato alla mia mostra a New York, se uno dicesse quanto campo? 80 anni, 90 anni??arrivato a meno 5 uno si spara un colpo di pistola, non puoi vivere così.“
A.: ”La bellezza della vita è questa, che uno non sa quando deve morire..”
T: ”Si resta ragazzi tutta la vita, finché c’è vita…ma lei è una persona intelligente perché ha percepito.”
A:” La ringrazio per la stima. Una domanda, lei si sente soddisfatto di quello che ha raggiunto fino ad adesso?”
T.: ”Le faccio un esempio immediato. Io ho lo studio a Milano, quando lei verrà a trovarmi staremo a pranzo insieme. La sera alle 8:30 finisco di dipingere in studio e telefono a mia moglie e le dico: Graziella, stasera dai tubetti mi esce merda, vengo a casa a mangiare. Disperato, disperato. Il giorno dopo, il contrario e le dico: Graziella, oggi ho scoperto cos’è la pittura… E mi dico: perché non l’ho scoperto prima? Non ero pronto ad accogliere la novità.
A: ”Capita anche a me, quando scrivo per bene un articolo. Un’altra domanda, Togo, questo nome.. ”
T: ”E’ uno pseudonimo” A:” A Messina ha un significato, quando una cosa è bella, è toga.” T:” Nasce da un ammiraglio giapponese, che nel 1905 ha distrutto la flotta imperiale russa
A: ”Forse pure a Messina si usa togo per questa motivazione.”
T: ”Anche in alta Italia, a Genova, c’è un vino delle 5 terre che si chiama Togo, e uno stato africano vicino alla Costa D’Avorio, in tutti i dialetti togo vuol dire furbo.”
A: ”Lei ora mi ha parlato di Africa, i suoi colori, hanno un qualcosa di africano.”
T: ”Questo, sulla falsariga del fatto che io usufruisco delle grandi lezioni dei grandi maestri. Ai primi del ‘900, Picasso ed altri sono stati folgorati dalle sculture afro, alcuni collezionisti le avevano portato a Parigi, infatti alcune esperienze picassiane nascono proprio da alcune sculture africane. Non solo lui, tanti pittori dell’epoca, Matisse stesso, hanno fatto la pittura ispirata a questa produzione africana che aveva portato una ricerca nuova, fresca. Questo lo facevano per una loro necessità di esprimere delle immagini e questa cosa ha colpito moltissimo. Così come con la pittura giapponese, pittori del periodo impressionista precedente Picasso, si erano ispirati alla pittura giapponese”
A: ”Il mio preferito è Degas”
T: ”Le ballerine”
A.:”Anche Caillebotte, impressionista.”
T.: ”E poi ci sono i contemporanei, Bacon ha stabilito parametri nuovi, personaggi di una forza straordinaria che con grande umiltà, questo uomo, faceva i suoi quadri e gli venivano comprati immediatamente da un buon collezionismo e lui diceva…ma, me li pagano moltissimo. Si meravigliava perfino lui che riuscisse a vendere a prezzi esorbitanti. E’ stato un grande pittore.”
A.: ”Come diceva l’amico Franco, visto che il futuro ci appartiene. Quali sono i suoi programmi a breve e a lungo termine?”
T.: ”Intanto sto aspettando una risposta per questa mostra, che in qualche maniera lo coinvolge, non in qualche maniera, totalmente lo coinvolge perché nasce da lui questa mostra a Londra ed a Edimburgo, come mi diceva Luigi probabilmente si sposta a Parigi, quindi già questo mi gratifica moltissimo. Poi questa mostra che ho in atto a Messina, al Vittorio Emanuele, che passa adesso a Palermo allo studio 71 di Marcello Scorsone, con il quale abbiamo fatto diverse mostre, anche qualcuna di grafica e d’incisione. Ecco, per esempio l’incisione, è un settore che mi affascina, io ho avuto la cattedra di calcografia all’Accademia di belle arti di Como, ma indipendentemente perché le cattedre ce li hanno anche gli asini, voglio dire che non è che se uno ha la cattedra significa che è bravo se è bravo, è indipendente dalla cattedra. Io sono più conosciuto come incisore, che come pittore.”
A.: ”Parliamo un pochino di queste acqueforti.”
T.: ”Ho cominciato ad incidere tardi, rispetto alla pittura che iniziava nel ’56-’57, qui non c’era la possibilità, nessuno conosceva niente di sta roba. Appena sbarcato a Milano, io che ho delle buone mani, sono stato nello studio di un pittore, Umberto Faini, uno di quelli che mi ha agevolato ad ambientarmi, mi diceva “ prova, ti faccio fare un’incisione “, lui mi dava il torchietto, incido la lastra e poi metto in acido. Esce questa lastrina dall’acido, la pulisco, tolgo il bitume e resta nuda, mi dice di mettere l’inchiostro nei due sensi, riempiendo i solchi e poi di pulire perfettamente; poi si mette sulla lastra, foglio e feltro, giriamo, apro e vedo che invece di essere una linea intera il disegno, era a puntini, lui mi dice “vedi, non hai inchiostrato bene”, e io “ non è l’inchiostrazione, ma la pressione del torchio, e Umberto – ma va Enzo… “; ed io ”Umberto, non proviamo più, la rimettiamo, gli dò io una stretta al torchio ” ed è venuta bene, la seconda volta, senza inchiostrare. Da autodidatta ho comprato un torchio, un Bendini, che è la Ferrari, ce l’ho in studio ed ho cominciato a provare ed a stampare. Quando sono usciti questi colori ad olio in stick, qui a Messina li aveva solo Celi, aveva il suo negozietto in Via dei Mille, sono colori in cui c’è il pigmento normale ed un aggregante che li tiene fermi, ma mi sfugge il nome. Per cui si disegna come se fosse un pastellone grosso, disegnando si fanno dei segni, ma se si vogliono delle superfici, basta incrociare il colore e diventa come se fosse passato il pennello. Il vantaggio qual è? La gamma di colori che è straordinaria, ma poi il fatto che se uno volesse fare un cerchio e poi un altro tutto intero senza fermare la mano, può farlo fino a che il pastello finisce. Col pennello, se uno fa dei cerchi, li deve interrompere più volte per prendere il colore. Questo per me è bellissimo, io che lavoro sul mare col bianco, muovendolo come se l’acqua si muovesse, io riesco a farlo; viceversa col pennello mi dovrei fermare ogni momento. Questo mi ha agevolato molto perché mi avvicina all’incisione, il segno nervoso che a me piace molto è identico al segno dell’incisione.”
A: ”Quindi diciamo che le due tecniche quasi si fondono..”
T: ”Sì, si fondono benissimo insieme, grazie anche a questa scoperta dei colori che venivano dall’America. Li ho adottato immediatamente, a Milano non ci sono certi colori, io li ritiro dall’Olanda. Dovrei vendere i quadri a peso, più che a misura!”
A.:”Quante opere…?”
T.: ”Diecimila, io lavoro molto, poi per le acqueforti ho tirature di 75 esemplari mentre faccio a 25 le puntesecche. Solo di lastre, di matrice, di incisione, ne avrò fatte più di 350. Le racconto questo episodio. Partivo con mia moglie per tornare al nord, ed ero con la macchina sul traghetto, mi telefona da Como Raffaele De Grada, che è stato uno dei più grandi critici italiani del periodo di Corrente. Aveva già scritto di me alla fine degli anni ’60, mi aveva presentato alla mostra a Milano, la più importante che avessi fatto in quel periodo. E mi dice: “ Enzo, sono Raffaellino”, perché il padre si chiamava Raffaele, quindi lui Raffaellino nonostante avesse 70 anni. “ Raffaellino sono in Sicilia, ti porto i babà, i cannoli, che ti porto ?” “ No, no Enzo, sono in Accademia, c’è la cattedra di calcografia, di incisione libera e vogliamo te! “ Capisci che bello? Senza che io avessi fatto domanda e niente. Una volta si diceva “per chiara fama”, cioè avevano capito che, riuscivo a dare ai ragazzi, così com’è stato per 5 anni, tutta la mia esperienza. C’erano alcuni che erano dei mostri, gli ho detto “ragazzi io vi ho dato tutto quello che so, adesso camminate con le vostre gambe perché siete straordinariamente bravi.” Tre di questi li aveva mandati il governo uzbeco scegliendo tra tantissimi, erano mostruosamente bravi. Con uno di loro siamo rimasti amici, perché si è sposato a Como, fa il pittore”.
A.: ”Maestro, un avvenimento curioso della sua carriera, qualcosa che l’ha segnata profondamente?”
T.: ”Ma tante cose, anche fregature da parte del mercato, amici che mi hanno fottuto quadri…” Un mio collezionista, Pier Paolo Cimatti, della Torcular, mi aveva fatto un contratto nel ’90, mi prendeva dei quadri al mese, grandi 1 mt x 1,20 mt, dopo un anno mi ha detto che aveva difficoltà a venderli, allora io gli dissi “ma Pierpaolo non è che vado per avvocati, amici come prima” mi aveva preso 100 quadri. Dopo circa quattro o cinque anni, lui entra in Telemarket (la televendita) con tutti i suoi lavori, aveva Picasso e roba straordinaria e porta i miei cento quadri lì. Mi chiamano e mi dicono “Togo, facciamo una serata per te”, con Franco Boni. Avevo una febbre a 39, un’influenza straordinaria, mia moglie con i medicinali, io quel giorno non riuscivo a guidare, viene un amico e mi fa da madrina Rossana Bossaglia che è stata una critica importantissima in Italia. Viene in macchina con noi. Mi rivolgo a mia moglie “ Chissà come finisce, non venderanno un chiodo, potevo dirlo a qualche amico, a costo di regalargli il quadro, lo compri e lo rimborso io .” Cominciamo questa trasmissione con Rossana Bossaglia che mi presenta e parla del mio lavoro, dopodiché comincia la vendita, una cosa infernale! Ogni volta che mettevamo un quadro andava, un altro e andava, c’erano esposti 72 quadri, io sono rimasto a bocca aperta! Dopo un’ora e un quarto non c’era più niente, non ne era rimasto uno solo, tutto venduto! Ho il filmato di queste cose, non racconto una balla manco se mi sparano! Franco Boni dice: “ mah! Non c’è più un quadro! .” Non si era reso conto!. Se uno non fosse fermo, con la testa apposto, perderebbe il lume della ragione. Mi hanno comprato e venduto, in cinque anni, 1300 quadri, tutti venduti e ci sono stati collezionisti miei, Cristian Banfi è uno di questi. E’ venuto qui in vacanza in Sicilia con noi, Cristian mi dice:” Enzo, credevo fosse un bluff, perché io telefonavo e chiedevo dei tuoi quadri e mi dicevano.. già venduto… già venduto.. .” e poi si è reso conto invece che era la realtà. Mi hanno pagato fino all’ultima lira, io ne posso solo parlar bene. Ad un certo punto, il presidente Corbelli, aveva comprato il Napoli e gli era andata buca, perché aveva speso centinaia di miliardi e ha cominciato a vendere al 50% le opere e a quel punto ho mollato. Se tu avessi comprato un’opera a 5000 euro e il giorno dopo la trovassi a 2500 t’incazzeresti! Mi sentivo preso in giro, a quel punto, io, Concetto Pozzati di Bologna, tanti altri personaggi che conosco del settore, abbiamo mollato Telemarket, con grande dispiacere perché era una vetrina della madonna.”
A.: ”Quando ho letto brevemente la sua biografia subito mi ha affascinato quest’artista che partendo da Messina è andato nel cuore di quella che era la piazza maggiore italiana in quel momento, con questa voglia di andare e di imparare, di crescere. Quindi persone come lei che hanno fatto la storia e continuano a farla, andando in giro per il mondo, penso che sia orgoglioso della sua Sicilia, della sua città?
T.: ”Io a Milano, parlo con l’esclamazione emblematica del Minchia! Io sto da 55 anni a Milano. Apprezzo e ho conosciuto Franco Loi, eravamo molto amici, che è stato il più importante poeta in dialetto milanese, io leggo i suoi libri in milanese, ma il siciliano per me, gli amici lo sanno, ogni tanto ne viene fuori una parola..”
A.: ”Quanto è stata importante sua moglie nella sua vita, quanti anni è che siete sposati?”
T.:”50 anni, ci fermiamo qui, non andiamo oltre”
A.: ”Cosa sarebbe stato Togo senza questa donna?”
T.:”Probabilmente avrei fatto il meccanico per auto, avendo le mani buone e mi piace molto, i lavori di meccanica mi piacciono moltissimo”
A: ”E con la scultura non si è mai cimentato?”
T: ”No, mai, non mi interessa la tridimensionalità, lavoro sulla bidimensione. Oppure l’entomologo, gli insetti mi hanno sempre affascinato. Li ho amati sin da bambino, le formiche, le api, io facevo collezione di ragni, senza ucciderli, da vivi, li prendevo, li lasciavo nella rete, gli davo le mosche da mangiare. Tutti i ragni e i crociati in particolare e poi facevano il bozzolo con i ragnetti dentro, prima facevano le uova, poi si aprivano e allora quando vedevo che dentro si muovevano i ragnetti li aiutavo, forse anticipando di qualche giorno..”
A.: ”Un’ultimissima domanda, banale, quasi offensiva.. Il cliente più famoso?”
T.: ”Beh, ne ho tantissimi, c’è per esempio, proprio oggi raccontavo questo episodio. Ho fatto una mostra al circolo Umberto Fiore che è qui, messo in piedi da mio fratello Mario 35 anni fa, c’è dentro una sala bellissima.”
E.Z: “Durante un film, c’è Maurizio Costanzo, con un Togo enorme.”
T.: ”Ma io tra l’altro non so da che parte gli sia arrivato, perché da me non l’ha preso. Dicevo, mi chiama mio fratello:” Enzo, ci sono due persone, sono venute a trovarti”, lei avvocato Teresa Notaro, lui Nicola Donato ex inps di Messina,mi comprano due quadri piccoli, subito scatta l’amicizia. Morale: oggi ne hanno più di 50 miei, fra cui uno di 4 metri di base e 2 metri di altezza. Gliel’ho dovuto montare nello studio, e se dovesse uscire, si dovrebbe smontare.”
E Z. : ”Alla stazione (di Messina n.d.r.) c’è un quadro suo, enorme, dove c’è la biglietteria, poi a Mosca, ma anche alla galleria d’arte moderna ce n’è uno grande.”
T.: ”Il sindaco che a suo tempo era Mario Bonsignore, mi ha chiesto…guarda era diventata una gara, mi hanno fatto questa mostra al Vittorio Emanuele, nell’89-90, c’era Serafino Marchione come personaggio legato alla politica, mi fanno un catalogo edizione Mazzotta di Milano. Alla fine della mostra, il quadro più grande che c’era in mostra era 4mt x 2mt, me lo compra la Provincia. Mi si avvicina Bonsignore e mi dice che l’anno prossimo ne avrebbe comprato uno che doveva essere più grande, di almeno 5 mt.”
E.Z.: ”Se ci pensiamo è anche conveniente comprare i quadri di Togo, perché tutti sono quadri nei quadri, se uno osserva attentamente, ci si trova l’idea generale della composizione. Ci sono dei simboli che ricorrono, se lui ha voglia di fare vedere le isole, lo fa, se ha voglia di far vedere i campi li fa vedere, la gente poi però non capisce che sono campi, ma quella è terra perché lui segna le righe proprio…”
T.: ”Lui, Enzo Zuccaro, ha scritto del mio lavoro quando mi ha proposto un’esposizione in una ex fabbrica, ex Filanda a Soncino una mostra straordinaria con l’ausilio del Rotary”
E.Z.: ”Questo giovane artista fa quello che facevano i pittori nel ‘600, utilizza la tela due volte. Loro prendevano le tele e ci ridipingevano sopra, lui invece nella sua tela, ci dipinge due o tre quadri. Questo catalogo ha in più una particolarità all’interno qua in più ha una particolarità all’interno, c’è il QR code. Abbiamo fatto dei filmati con il pittore e in ogni QR code lui spiega il quadro. Quello è un estratto di una frase che lui ha detto. I quadri di Togo hanno un prezzo, ma in realtà si pagano la metà di quello che costa perché in un quadro ce ne sono due o tre o quattro.”
A.: ”Una domanda da messinese. Si sente apprezzato dalla sua terra?”
T.: ”Sì, adesso sì. Al principio un po’ meno, ma non mi ha creato mai alcun problema. Io sono molto legato da una grande amicizia ai pittori di Messina, Celi, Cannistraci, Santoro, Samperi, Rigano e non c’è stata mai competizione da parte mia. Loro, fra l’altro, mi riconoscono questo fatto.. ” Enzo quannu arrivi tu, nui fra di noi ni videmu !” Perché fra di loro non si vedono.. io non vengo alla tua mostra picchì tu non vinisti a mei.. quando ci sono io che non ho alcun problema, vengono tutti. L’altra sera hanno fatto una serie di fotografie fra di loro, fuori, dove ci sono questi sedili di cemento. Sono venuti dei gruppi che avevano fatto l’Accademia assieme a Reggio Calabria o la Scuola d’Arte a Messina e si sono ritrovati alla mia mostra.
Si conclude così questa lunghissima intervista. Un caloroso ringraziamento alla mia collaboratrice Elisabetta Siligato per l’instancabile amanuense lavoro di trascrizione effettuato.