Referendum e amministrative 2022, una strada irta di difficoltà per l’election day. Ipotesi di slittamento per il 2023?
Tanto rumore per nulla. Potrebbe essere questo l’altisonante titolo della clamorosa ipotesi di rinviare le elezioni amministrative in Sicilia al 2023.
Se nell’ultimo mese, i partiti si sono affannati alla ricerca di un candidato capace di mettere d’accordo le coalizioni e spesso non riuscendosi completamente (a Messina il tavolo del centro-destra non si è ancora compattato nonostante l’imprimatur di parte della coalizione su Maurizio Croce a sindaco), lo spettro dei referendum si aggira sull’unica data ormai possibile per andare a votare, e cioè il 12 giugno.
L’ipotesi di un’election day del 12 giugno che accorpi amministrative, che ricordiamo si svolgeranno in più di 1000 comuni in tutta Italia, e i referendum appare tanto suggestiva quanto irta di difficoltà, come anche l’ipotesi di accorpare regionali e amministrative.
Nonostante Musumeci si sia apertamente dichiarato favorevole all’ipotesi, gli unici precedenti riguardanti tale tipo di accorpamento risalgono al 2009 e al 2020.
Quello del 2020 in realtà fu un referendum su un quesito costituzionale e non abrogativo come quello del 2009, per il quale ci volle un’apposita legge, la 40/2009, prevedendo, per gli adempimenti comuni, l’applicazione della normativa sui referendum, e derogando alla disciplina generale, in base a cui la data del referendum deve essere fissata in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno.
Ma allora i referendum furono solo 3 e si tennero in occasione dei ballottaggi.
Ricordiamo che l’attuale legge 7 del decreto-legge n. 98/2011 ha introdotto in via generale si l’election day, stabilendo, dal 2012, lo svolgimento in un’unica data nell’arco dell’anno delle elezioni politiche, comunali, provinciali e regionali. Se nel corso dell’anno si svolgono le elezioni del Parlamento europeo, le elezioni politiche, amministrative e regionali si effettuano nella data stabilita per le elezioni europee, la legge non contempla però nell’election day il referendum abrogativo.
Il mancato raggiungimento del quorum rientra sicuramente nella strategia dei partiti contrari al referendum: il PD pressato dalla magistratura assolutamente contraria ai quesiti abrogativi specialmente quello sulla separazione delle carriere, e M5S che vedrebbe annullata la riforma Cartabia in buona parte della sua portata, riforma discussa appena il mese scorso dal consiglio dei ministri e già presentata in parlamento.
L’abbinamento dei referendum con altre consultazioni rischia perciò di influenzarne la validità per i motivi di cui sopra, ed è per questo che l’articolo 34 della legge 352/1970 stabilisce un divieto di election day con un referendum abrogativo, ma non quello costituzionale, e le elezioni politiche nazionali.
Ricordiamo inoltre che la tanto ventilata idea di poter risparmiare sul costo delle elezioni con unica data non ha alcun fondamento giuridico-economico.
Le elezioni amministrative sono infatti a carico dei comuni, mentre quelle referendarie a carico dello stato.
Infine il rischio caos in cabina elettorale. Se si dovesse veramente accorpare le due elezioni, all’elettore verrebbe data la possibilità di scegliere se votare per le amministrative o per i referendum o entrambe le cose.
Tempi biblici in cabina per leggere e contrassegnare le schede (ricordiamo 5 solo per i referendum) con il rischio concreto che il 26 giugno gli elettori, piuttosto che andare a votare e perdere delle ore al seggio preferiscano andarsene al mare.