Tempo pieno al Sud e docenti mobilizzati. Prospettive di cambiamento
Con il Pnrr si profilano all’orizzonte alcune novità in merito al tempo pieno scolastico perché ci sarebbe un piano gestito dal Ministero dell’Istruzione che prevede la costruzione e la riqualificazione delle mense e delle palestre ad opera dagli enti locali proprietari dei relativi edifici. Questo proprio per favorire l’estensione del tempo scuola nei territori dove attualmente risulta carente. Ripensando l’offerta formativa di una scuola aperta al territorio si potrebbero introdurre attività per il potenziamento delle competenze trasversali degli studenti soprattutto del primo ciclo di istruzione. Certo risulta assai strano che in base ai dati ministeriali, relativi alle iscrizioni dello scorso anno, la regione con meno richieste di tempo pieno sia proprio la Sicilia, ove si sceglie maggiormente il modulo orario di 27 ore settimanali ma da cui, paradossalmente, proviene il maggiore flusso in uscita di docenti non di ruolo alla volta delle regioni nordiche. Ciò, secondo vari studi effettuati, andrebbe addebitato alla carenza di spazi dedicati alle mense scolastiche ed al potere decisionale della struttura oraria attribuita, unicamente, all’autonomia delle singole istituzioni scolastiche che opterebbero per un ridimensionamento dell’offerta formativa con una riduzione progressiva dalle 30 ore settimanali alle 27 ore nonostante una struttura oraria didattica maggiore potrebbe, certamente, portare vantaggi alle comunità locali soprattutto per il supporto alle donne lavoratrici. Alla luce di ciò, pur profilandosi la grande occasione dei fondi europei, c’è il timore che gli stessi previsti dal Pnrr non vengano utilizzati in modo efficace dagli enti locali e con una giusta programmazione amministrativa. Il bando sul sito del Miur intenderebbe proprio, quindi, aumentare la disponibilità di mense scolastiche anche per facilitare il tempo pieno ed sarebbe rivolto, esclusivamente, ai comuni per le scuole del primo ciclo ed alle province per i convitti. Sarebbe, in definitiva, una soluzione consapevole del problema dei docenti fuorisede tanto che potremmo bene affermare che la risoluzione della situazione dei docenti fuorisede sia nella consapevolezza del problema stesso poiché l’ampliamento dell’offerta formativa costituirebbe un punto di vantaggio per il recupero dell’organico del primo ciclo con vantaggio anche per le assegnazioni provvisorie. L’obiettivo, quindi, sarebbe uno spostamento sincrono durante le assegnazioni provvisorie interprovinciali con una maggiore probabilità d’accoglimento della domanda visto che il turn over non è sufficiente per effettuare la mobilità necessaria al rientro dei docenti fuorisede. Tuttavia un problema a questo punto sorge e cioè che la ripartizione in fasi della mobilità danneggerà la mobilità stessa perché verrà meno il carattere meritocratico del punteggio di anzianità tra docenti che hanno acquisito lo stesso diritto alla mobilità territoriale e professionale. Inoltre l’introduzione dei vincoli dei neo-trasferiti risulterebbe essere un altro canale di disparità verso il collega anziano che a maggior punteggio ed in presenza di disponibilità organica non potrebbe muoversi. Se si è, pertanto, in una prima fase annunciato in pompa magna la positività delle misure di prossima adozione successivamente non si è potuto evitare che sorgessero gli spunti di analisi di cui detto tali per cui si è cominciato a dubitare che in definitiva il tempo pieno al sud potrebbe essere l’occasione per far rientrare i docenti fuori sede. La verità, infatti, è che per molti la questione risulta solo un problema di miglioramento dell’offerta formativa e di aumento nelle regioni del sud della richiesta del tempo pieno ma nella realtà dei fatti il quadro ha anche altri spunti di valutazione tali da renderlo assai più complesso. I flussi di docenti ad incarico verso il nord, infatti, spesso derivano da provvedimenti del governo nazionale stesso e per capire ciò basterebbe soltanto analizzare ciò che è avvenuto in Sicilia a seguito dell’entrata in vigore della legge numero 107/2015 alias “la buona scuola” in un determinato settore specifico scolastico. Come sappiamo, infatti, le ore di sostegno agli alunni affetti da disabilità vengono assegnate in base alla gravità della disabilità per cui a quelli più gravi viene assegnato con un rapporto cosiddetto di “1 ad 1” un docente. Il docente di sostegno, tuttavia, dedica al bambino nella scuola primaria 22 ore di attività e nella scuola media addirittura 18 ore e, pertanto, dal momento che il tempo scuola nella scuola primaria è mediamente di 27 ore si verifica uno scarto di 5 ore di copertura. Nel tempo pieno a 40 ore si arriva, poi, a toccare picchi con 18 ore di scopertura. Nella scuola media, poi, il tempo scuola è di 30 ore settimanali ma l’insegnante copre soltanto 18 ore con una scopertura di 12 ore che diventano ben 20 nel tempo prolungato. Stesso discorso può essere esteso agli alunni con disabilità che frequentano le scuole secondarie di secondo grado in cui il tempo scuola arriva a 32 ore oppure a 35 ore settimanali. Spesso in Sicilia i posti di sostegno vengono assegnati a docenti non di ruolo magari non abilitati in alcuna classe di insegnamento e non specializzati mentre docenti di ruolo immessi, anche con la legge numero 107/2015, fase c, vengono assegnati alle regioni nordiche. In altri casi, addirittura, si verifica che i ragazzi delle scuole secondarie di secondo grado non usufruiscono dell’insegnante di sostegno per le ore curriculari previste nel piano educativo personalizzato proprio per carenza di docenti specializzati. In tale scenario basterebbe profilare una soluzione con l’istituzione di corsi aggiuntivi di sostegno in cui la regione organizzi sessioni straordinarie di corsi per docenti di ruolo di tutti gli ordini di scuola, riservando una percentuale copiosa ai docenti in servizio fuori dalla Sicilia, visto il loro numero generale, anche con priorità per titoli di prole o di agevolazione ex legge 107/2015. Ciò permetterebbe di avere un meccanismo in cui il tempo di insegnamento adeguato al tempo scuola per le ore di sostegno risolverebbe il gap di lacuna oraria della situazione di uno studente che ha assoluto bisogno della presenza di un docente e, certamente, consentirebbe a molti docenti di rientrare in Sicilia o di restare in Sicilia, specialmente per coloro la cui classe di concorso risulta essere in esubero al momento dell’immissione in ruolo. Se è vero che in base alle norme regionali per la garanzia del diritto allo studio ed all’accesso al sapere ad ogni cittadino è proprio la regione che riconosce e garantisce il diritto allo studio sul proprio territorio quale buona occasione sarebbe questa per un intervento regionale a sostegno delle politiche educative che permetta agli studenti affetti da disabilità di esercitare questo diritto collateralmente permettendo anche ai docenti meridionali di usufruire di una offerta formativa che risponda a criteri di competenza, continuità, coerenza e perché no anche di comodità? Se è vero che la regione, nel rispetto dell’ordinamento europeo e nazionale costituzionale, inerentemente all’autonomia delle istituzioni scolastiche, esercita la potestà legislativa esclusiva in materia di istruzione, nonché ai sensi del suo Statuto, potestà concorrente in materia di istruzione ciò le dovrebbe permettere certamente di promuovere e sviluppare un sistema integrato di educazione che risponda alle esigenze di sviluppo del suo territorio. Il rientro, o la permanenza al sud, di una grossa fetta di popolazione di livello di istruzione universitario potrebbe già essere un primo passo in tal senso. Ma posto che non sono un costituzionalista, e nemmeno un esperto di Pnrr, forse mi sbaglierò. Buon anno colleghi “mobilizzati” e soprattutto buon rientro al nord…